Salvatore Ferragamo è la prima casa di moda ad assumere fra i suoi dipendenti una persona con sindrome di Down. Supportando la campagna “The Hiring Chain”, lanciata lo scorso 21 marzo in occasione della Giornata Mondiale sulla sindrome di Down, Ferragamo ha deciso di promuovere inclusione e diversità sul posto di lavoro.
«Il mio augurio è che questa assunzione possa essere la prima di una serie e che altre realtà aziendali raccolgano al più presto il nostro testimone» ‒ Micaela le Divelec Lemmi, CEO di Salvatore Ferragamo S.p.A.
«Più le persone con sindrome di Down vengono viste al lavoro, più saranno riconosciute come dipendenti preziosi, e più saranno assunte». Questo il motto dell’iniziativa promossa da CoorDown. Il coordinamento nazionale associazioni delle persone con sindrome di Down dal 2003 si occupa di tutela dei diritti e sensibilizzazione. Ferragamo si aggiunge agli oltre 900 brand di tutto il mondo che hanno preso parte al progetto. È semplice: si inseriscono nella bacheca del sito offerte di lavoro specificatamente dirette a persone con sindrome di Down e si procede alla loro assunzione.
L’inclusione sociale e lavorativa è un concetto scoperto di recente. Fino a qualche anno fa, all’interno degli annunci di lavoro, le aziende non precisavano quasi mai a chi questi ultimi fossero diretti. Se a uomini, donne o entrambi. Il maschile generico veniva utilizzato di default. Con la conseguenza che il numero di candidate donne risultava essere sempre inferiore a quello dei loro colleghi maschi. Se sul piano delle differenze di genere sono stati fatti alcuni passi avanti, l’assunzione di persone con corpi non conformi è ancora una questione aperta.
Dalla musica alla moda: promuovere i diritti attraverso l’inclusione
L’inserimento lavorativo di persone con disabilità è disciplinato in Italia dalla Legge n.68 del 1999 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”. Nel 2015 la legge è stata modificata intervenendo sulle assunzioni obbligatorie. Le aziende al di sopra dei 15 dipendenti sono tenute ad assumere un determinato numero di soggetti disabili. Secondo le stime però, ad oggi risulta occupato solo il 32,2% di coloro che soffrono di limitazioni.
Per lanciare la sua iniziativa, The Hiring Chain ha pubblicato nel marzo di quest’anno un video che ha raggiunto più di 5 milioni di visualizzazioni online. Sting presta il volto alla campagna e, sulle note di un motivetto originale che ricorda Alla fiera dell’est di Angelo Branduardi, invita ad aggiungersi a questa catena di diritti. Simone è il nome immaginario della ragazza che con il suo nuovo lavoro da baker viene notata da un avvocato il quale deciderà di assumere John. A sua volta, il dentista dopo aver visto John nello studio farà un contratto a Sophia e così via. A volte basta soltanto dare l’esempio.
E un grande esempio di inclusione è stato proprio quello pubblicizzato da Ferragamo alla vigilia della Festa dei Lavoratori di quest’anno. Il neo assunto ha seguito un percorso formativo affiancato dai tutor dell’associazione Trisomia 21 di Firenze per potersi inserire completamente in un contesto sociale e lavorativo come quello di una delle sedi fiorentine della boutique. Già nel 2019 Ferragamo si era distinto per aver portato in passerella una collezione autunno-inverno attenta ad accomunare il guardaroba maschile e femminile.
«Sono capi che rifuggono da definizioni facili e abbracciano istintivamente l’inclusività» ‒ team Salvatore Ferragamo.
Abbracciare le diversità
I corpi hanno sempre suscitato sospetti quando si allontanavano da standard precostituiti e stereotipati imposti dalla società occidentale. Ci sorprende ancora vedere una donna in mezzo a un team di dirigenti aziendali perché non siamo abituati ad associare la parola potere al genere femminile. Diventiamo immediatamente premurosi quando notiamo la sedia a rotelle sulla quale siede la persona accanto a noi perché intrisi di pietismo e timore di dire o fare la cosa sbagliata. Accanto ad un corpo “diverso” abbiamo tutti paura. Chi con il corpo ci lavora però, ha cominciato a guardare alle diversità con un occhio più inclusivo.
Le grandi case di moda stanno allargando sempre di più lo spettro dei canoni estetici per accogliere il maggior numero di corpi possibili e promuoverli socialmente. Aveva fatto parlare di sé Winnie Harlow, la modella americana con vitiligine che nel 2015 è diventata testimonial di Desigual e Diesel. Casey Legler è stata la prima donna della storia a firmare un contratto come modello per via del suo aspetto androgino. Chanel invece, nel 2019, ha assunto la prima modella transgender dell’atelier parigino.
Recentemente, tutti coloro che non ritenevano appropriato esporre la pubblicità di una borsa di Valentino hanno gridato allo scandalo. Essa ritraeva un modello nudo con chiari rimandi femminei. Non passò di certo inosservata la notizia di Halima Aden, la prima modella a posare con burkini e hijab per Sports Illustrated. Nel 2020 anche la maison Gucci ha deciso di promuovere le diversità includendo fra le sue muse Ellie Goldstein, la prima modella con sindrome di Down.
La catena dell’inclusione si sta allungando. Non lasciamo che si spezzi.
Dottoressa in Lettere Moderne e specializzata in critica editoriale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. La mia passione per il giornalismo, l’editoria e il cinema mi hanno portata ad approfondire il mondo della comunicazione in tutte le sue forme presso la facoltà di Giornalismo, cultura editoriale e comunicazione multimediale dell’Università di Parma, che tuttora frequento.
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