Il food delivery è in costante crescita, così come l’attenzione ai cambiamenti climatici e alla salvaguardia del nostro pianeta. Imballaggi biodegradabili, auto elettriche per le consegne e minor spreco possibile: queste le parole d’ordine verso la completa sostenibilità di un settore 2.0. Ma è davvero così semplice?
L’8 dicembre 2020 andava in onda l’undicesima puntata del fortunatissimo format televisivo condotto da Alessandro Borghese: “4 Ristoranti”. A bordo del suo «van dai vetri oscurati», lo chef italoamericano si muoveva per le vie di Milano alla ricerca del miglior ristorante con delivery della città. La sesta stagione aveva introdotto una novità: il bonus per la cosiddetta “categoria special”. Si trattava di giudicare quanto i concorrenti eccellessero in un aspetto della loro attività che li accomunava e costituiva il tema della puntata.
Nell’episodio sul delivery milanese veniva premiato il packaging dei propri prodotti, ovvero il modo in cui i clienti ricevevano il loro ordine. Scatoline biodegradabili chiuse con uno spago, contenitori fatti di canapa riciclata e così via. Ogni pacchetto doveva essere valutato in base alla comodità, all’efficienza ma soprattutto ai materiali utilizzati. L’obiettivo era ridurre il più possibile l’impatto ambientale, in un settore che si sta spostando sempre più verso il mondo della consegna a casa.
Cos’è il food delivery?
Il food delivery è il nuovo «esco e vado a mangiarmi un piatto al ristorante». Just Eat, Deliveroo, Glovo ‒ e i rispettivi rider che vediamo sfrecciare per le vie delle nostre città ‒ hanno invaso il mercato della ristorazione. Parole quali convenienza, velocità (e, purtroppo, anche sfruttamento) hanno sostituito la tradizionale telefonata al ristorante per prenotare un tavolo.
Secondo i dati forniti dalla Federazione Italiana Pubblici Esercizi, il 30,2% degli italiani (circa un terzo della popolazione) ha ordinato online da piattaforme di food delivery. La pandemia di Coronavirus ha potenziato ancora di più questo settore: sempre la Fipe ha condotto uno studio sui numeri del food delivery pre e post Covid-19. Siamo passati da 5,4% dei ristoratori in grado di fornire questo servizio ad un 10,4% che si è attivato per svilupparlo. Tutto questo grazie anche a un 40% di crescita della domanda del cibo a domicilio. Nell’anno in cui l’industria del delivery e l’e-commerce hanno visto i loro profitti aumentare notevolmente, è emerso il problema dei rifiuti e degli sprechi che aziende e consumatori producono ogni giorno.
Il terrore delle cannucce biodegradabili
Quante volte vedendo arrivare il nostro drink servito con cannuccia bio abbiamo pensato: “Oh no, si scioglierà in bocca dopo soli due sorsi!”? Frequentando locali che hanno cominciato a virare verso questa piccola opzione ecologica, ho notato come quest’ultima sia stata accolta da clienti ed esercenti più come una costrizione che come una scelta consapevole.
Secondo un articolo della rivista Packaging World:
«Quando si tratta dell’importanza della sostenibilità in generale e del packaging sostenibile in particolare, la maggioranza dei proprietari di marchi e dei consumatori ha convenuto che i consumatori si preoccupano di entrambe le questioni. Ma i proprietari di marchi hanno meno fiducia che i consumatori comprendano il significato della sostenibilità rispetto ai consumatori stessi, al 60% contro l’83%».
Imprenditori vs. consumatori
Gli imprenditori individuano tre ostacoli. In primis il costo più elevato per la ricerca e l’acquisto di imballaggi bio. Poi la qualità inferiore rispetto alle alternative esistenti (nella puntata di Borghese effettivamente alcuni dei piatti si sono rovinati a causa di un packaging che conservava male i prodotti). Infine l’esistenza di priorità organizzative di maggiore interesse. Queste difficoltà colpiscono soprattutto singoli ristoranti che si affidano al delivery per essere più al passo con i tempi. L’intenzione è quella giusta, ma le piccole attività spesso rimangono all’Età della pietra per quanto riguarda la quantità di rifiuti prodotti dal pacchetto (se solo nell’Età della pietra fosse esistita la plastica). Aziende come Just Eat invece, hanno già da tempo adottato una filosofia 100% compostabile e biodegradabile per le consegne.
Un occhio anche alle esigenze dei consumatori non sarebbe una cattiva idea. Nell’epoca del movimento Fridays For Future e di Greta Thunberg, la maggior parte preferisce ricevere prodotti con imballaggio sostenibile e ritiene che carta e cartone siano i materiali meno inquinanti. Spesso però, il cliente che si vede recapitare l’ordine in un imballaggio zero-waste si ritiene soddisfatto di aver compiuto la sua piccola azione giornaliera a salvaguardia dell’ambiente. Nessuno pensa alle numerose insidie che quella consegna ha comportato. Emissioni di CO₂ provocate dal trasporto su un mezzo non ecologico (che spesso viaggia semivuoto). Disinteresse verso la provenienza della carta (Fsc o Pefc sono le uniche derivanti da politiche sostenibili di gestione delle foreste o da materiali di riciclo) o verso le tipologie di inchiostri utilizzati. Mancanza dell’opzione carbon neutral shipping ecc.
Nomi da ricordare per il prossimo ordine
Nel 2019 McDonald’s ha rilasciato un comunicato stampa in cui dichiarava che avrebbe introdotto un programma per ridurre al minimo la plastica e migliorare il riciclo degli imballi nei ristoranti di tutta Europa. Cannucce disponibili solo su richiesta, eliminazione del tappo di plastica di alcuni prodotti e bibite, imballaggio al 100% riciclato o certificato. Queste sono solo alcune delle innovazioni green introdotte nel progetto “Better M”.
«Ci impegniamo a ridurre l’impatto che abbiamo sul pianeta e lo fanno anche i nostri clienti. Per questo stiamo studiando nuove soluzioni per ridurre l’utilizzo di imballaggi, impiegare materiali più sostenibili ed aiutare i nostri consumatori nel riciclo e nel riutilizzo» ‒ Keith Kenny, Global Sustainability Vice President di McDonald’s.
Oltre a grandi aziende come Just Eat o McDonald’s, tra le numerose app scaricabili sui nostri smartphones ne troviamo alcune attente al consumo sostenibile del cibo.
Too Good To Go è una delle più conosciute e scaricate. Ideata in Danimarca, l’app che tradotta significa «troppo buono per essere buttato» permette ai consumatori di comprare prodotti invenduti a prezzi scontati presso attività commerciali che aderiscono all’iniziativa. Dare una seconda vita a cibo che altrimenti finirebbe nell’immondizia è la motivazione che ha spinto Carrefour, NaturaSì e altre catene ad avviare una partnership con la start-up. I clienti invece sono esortati principalmente dal risparmio che possono ottenere e dall’attenzione all’ambiente. Babaco Market è un servizio di delivery incentrato sulla vendita di frutta e verdura made in Italy e di stagione. Chi acquista questi prodotti riceve una box contenente i “brutti ma buoni” ovvero frutta e verdura che non soddisfano i requisiti “di bellezza” imposti dalla distribuzione. Naturalmente i packaging promossi da queste novità in campo alimentare sono interamente plastic-free e sostenibili.
5 consigli per un delivery sostenibile
Se dunque, come me, non volete rinunciare al delivery e, come me, vi siete imbattuti almeno una volta in ordini racchiusi in centinaia di confezioni di plastica, con tappi di plastica e coperchi di plastica, ricordatevi che esistono sempre più realtà che oltre a farci mangiare bene pensano anche ad imballaggi e modalità di consegna che aiutino il nostro pianeta. Scegliamole!
Qui il vademecum messo a punto da Deliveristo con 5 consigli per imparare ad essere professionisti e consumatori sostenibili.
Dottoressa in Lettere Moderne e specializzata in critica editoriale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. La mia passione per il giornalismo, l’editoria e il cinema mi hanno portata ad approfondire il mondo della comunicazione in tutte le sue forme presso la facoltà di Giornalismo, cultura editoriale e comunicazione multimediale dell’Università di Parma, che tuttora frequento.
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